Il danno scolastico

Un saggio appassionato, controverso, dolente sullo stato della scuola italiana, scritto a quattro mani da una ben assortita coppia (anche nella vita), comprendente un sociologo e una scrittrice, accomunati dall’essere stati professori (rispettivamente universitario e liceale) della Pubblica Istruzione italiana

Di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi
La Nave di Teseo 2021
Pagine 270 - Prezzo 18 € 
disponibile in e-book

Recensione a cura di Stefano Guerci
Gli autori ripercorrono le loro esperienze, prima come discenti e poi come docenti e, dal punto di vista della loro generazione (“baby boomers”), commentano la transizione dalla scuola “tradizionale” alla scuola “riformata”, a partire dalla creazione delle nuova scuola media unificata sino ai cosiddetti decreti delegati, al nuovo esame di media superiore, alla liberalizzazione dei piani di studio universitari e alla nuova organizzazione dell’istruzione superiore e universitaria. In proposito, gli autori formulano una tesi interessante e provocatoria: non è che a pagare il conto più salato di questo processo di riforma – tradottosi in progressivo abbassamento degli standard di apprendimento, crescente indulgenza valutativa, gioiosa affermazione del “diritto al successo formativo” – sono stati proprio i figli dei ceti popolari, dei quali si dichiarava di voler realizzare l’emancipazione? Non è che “ai poveri, per non farli sentire poveri, abbiamo dato una scuola impoverita?”. Una scuola abbassata e facilitata che, in particolare nei primi otto anni (periodo cruciale per autostrutturarsi), “non dà le basi”, non esige né pretende, non insegna capacità fondamentali quali capire le domande, argomentare un tema, scrivere in italiano corretto, andare al di là delle 800 parole base dell’italiano corrente?
Il nucleo del saggio risiede nella verifica formale di questa ipotesi da parte del prof. Ricolfi,  ottenuta incrociando le rilevazioni ISTAT sulla mobilità sociale con la performance scolastica misurata dai punteggi INVALSI in italiano e matematica ottenuti a livello di provincia: 1) sino a un certo punto (per la generazione del baby boom) la crescente disponibilità di posizioni alte ha favorito l’ascesa sociale dei “ceti bassi”, ma la “decrescita felice” degli ultimi 30 anni ha drasticamente ridotto le opportunità; 2) la possibilità di ascesa dei “ceti bassi” resta comunque decisamente inferiore rispetto alle opportunità di avanzamento dei “ceti alti”; 3) una scuola di qualità, ma solo in limitate aree del 
Paese, ha indiscutibilmente attenuato il condizionamento dell’origine sociale, favorendo le chance di successo delle classi basse e indebolendo il parametro della disuguaglianza sociale.  
A fronte delle indicazioni preziose ottenute dal test dell’ipotesi, quali gli elementi di perplessità che fanno ritenere il saggio controverso?
  1. Non convincono alcune indicazioni di carattere metodologico: a fronte di un innegabile degrado (testimoniato anche da confronti internazionali), della capacità media di comprendere le domande, di argomentare una tesi, di elaborare in maniera strutturata, ben vengano, tra gli altri, l’intensificazione della lettura e del sacrosanto esercizio del tema. Ma siamo proprio sicuri che non esistano alternative, al fine di un apprendimento rigoroso e strutturato, a metodologie quali la parafrasi di un testo antico, il latino, l’analisi grammaticale, logica e periodale? Non esistono davvero alternative per favorire l’organizzazione mentale e aiutare a strutturare l’espressione del pensiero?
  2. Non convince la secca contrapposizione tra cultura e competenze: la scuola come tempio della cultura e dell’educazione dello spirito deve comunque fare i conti con un contesto sociale a elevata complessità e con sbocchi professionali richiesti e offerti dal mercato del lavoro. Perché non lavorare, nell’interesse della società e delle classi subalterne, a conciliare le due dimensioni?
  3. Non convince infine l’amaro pessimismo delle conclusioni (troppo tardi per rimediare): per una attuazione sostanziale dell’articolo 34 del dettato costituzionale  (“I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”) si deve e si può intervenire, riconoscendo i progressi compiuti (es.: scuola primaria e ITS), individuando  esperienze di successo a livello internazionale e, perché no, a livello nazionale, qualificando strutture scolastiche e capacità docenti. In ogni caso insegnanti competenti, appassionati ed esigenti come gli autori me li terrei stretti, e mi domanderei come “replicarli”.  

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