La perequazione delle pensioni: “C’era una volta …”

Riforma fiscale e Riforma delle pensioni saranno l’impegno della politica a partire dall’anno appena iniziato. I segnali sono tutt’altro che rassicuranti. Intanto il nuovo meccanismo di adeguamento automatico delle pensioni al costo della vita, che già negli anni è stato il bersaglio di continui attacchi con modifiche, blocchi, ha subito un nuovo peggioramento. Si va verso la soppressione? Gli annunciati incontri Governo/Parti sociali per la messa a punto delle Riforme più importanti vedranno le nostre Organizzazioni, CIDA e Federmanager, protagoniste e vigili nella tutela dei diritti e degli interessi dei pensionati

Antonio Dentato   

Componente Sezione Pensionati Assidifer - Federmanager
Andiamo per sintesi. Perché a raccontarla tutta ci vorrebbe un libro. Procediamo, quindi, con lunghi passaggi temporali partendo da quando la Legge n. 153/1969 introdusse per la prima volta la perequazione automatica delle pensioni. Il dispositivo di compromesso tra inflazione e l’esigenza di aumento delle pensioni è nell’art 19. Titolo: “Perequazione automatica delle pensioni”. Stabilisce che “Gli importi delle pensioni […] con effetto dal 1° gennaio di ciascun anno, sono aumentati in misura percentuale pari all'aumento percentuale dell'indice del costo della vita”.

Nell’intenzione del legislatore di allora l’aumento delle pensioni doveva essere pari alla percentuale d’aumento del costo della vita calcolata ai fini della scala mobile, senza distinzione d’importo. Fu la legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 9, a fissare criteri più stringenti, legando l’aumento pensionistico a due parametri: a) variazioni del costo della vita; b) dinamica dei trattamenti retributivi minimi (sintesi).

Fine dell’età dell’oro

La politica pensionistica, a partire dalla fine degli anni Settanta, è caratterizzata dal dibattito e dalla contesa sulla «questione previdenziale». In conseguenza di dinamiche sfavorevoli più acute rispetto agli altri Paesi europei (disoccupazione, bassa crescita economica…) durante questi anni nel nostro Paese si assiste a una progressiva inversione delle tendenze rispetto a quelle che avevano caratterizzato l’età dell’oro. Siamo agli anni ’90. La crisi economica da cui il Paese è attanagliato agli inizi del decennio fa emergere un inedito consenso verso misure restrittive della spesa pubblica. In questo clima prende il via la Riforma Amato (D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503). Stabilisce che, con cadenza annuale “Gli aumenti a titolo di perequazione automatica delle pensioni previdenziali ed assistenziali si applicano […] sulla base del solo adeguamento al costo vita […]”. Una Riforma per molti versi penalizzante. Perché: 
  1. elimina la rivalutazione mediante un indice composto, sostanzialmente collegato all’aumento delle retribuzioni; 
  2. i pensionati sono così esclusi dai benefici della crescita economica del Paese; 
  3. spezza ogni legame dei pensionati con il loro mondo di provenienza, il lavoro; 
  4. mantiene ferma la percentuale di valorizzazione che si applica per intero solo sull’importo non eccedente il doppio del trattamento minimo pensionistico (TM), mentre per le fasce d’importo comprese fra il doppio ed il triplo del TM detta percentuale è ridotta al 90 per cento e per le fasce di importo superiore al triplo del TM la percentuale è ridotta al 75 per cento. (Il richiamo è alla legge 28 febbraio 1986, n. 41 art 24 comma 4). (Cfr. M. Jessoula “La politica pensionistica”, il Mulino, 2009).
Senza collegamento con la dinamica salariale i pensionati si trovano ora inermi, privi di ogni forza di sostegno sui tavoli di Governo; non possono contrattare recuperi dell’inflazione, come è nella pratica dei professionisti che possono aumentare il prezzo dei loro servizi o come fanno i lavoratori dipendenti che possono accompagnare la contrattazione con gli strumenti di pressione democratica. Penalizzante, quindi, questa Riforma, ma con qualche vantaggio. 

La promessa di rivalutazione

Eliminata la componente relativa alle retribuzioni minime contrattuali, la protezione del potere d’acquisto delle pensioni è assegnata alla legge; e sta quindi nel legittimo affidamento che le pubbliche istituzioni rispetteranno il diritto dei pensionati a ricevere una rivalutazione in rapporto agli alti contributi versati, versati ma poi esclusi dal computo all’atto del calcolo di attribuzione della pensione, quali: riscatti universitari, specializzazioni post universitarie, contributi su molte indennità aggiuntive, ecc.… Sta nel pieno convincimento dei manager pensionati che le pubbliche istituzioni rispetteranno la correttezza nel pagamento giuste pensioni, a seguito delle imposte puntualmente versate per una vita, e con le aliquote più alte. Terranno conto del merito acquisito nell’assunzione di responsabilità nelle aziende pubbliche e private, nei ruoli ricoperti nelle pubbliche istituzioni. 

Resta, comunque, una questione non risolta: il meccanismo di valorizzazione è parziale ed è squilibrato per le fasce pensionistiche appena superiori ai minimi. Ma su questo le Rappresentanze dei lavoratori hanno poi trovato compensazioni su altri aspetti del sistema previdenziale. In ogni caso si trova, infine, una stabilizzazione con la legge n. 388/2000, art. 69, che dispone dal 1° gennaio 2001 l’applicazione dell’indice di rivalutazione automatica, riprendendo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448. E’ data così definitiva sistemazione al meccanismo di valorizzazione delle pensioni a tre “scaglioni”: adeguamento al 100% dell’inflazione fino a 4 volte TM, al 90% per la quota compresa tra 4 e 5 volte il TM, al 75% per la quota superiore a 5 volte il TM. Cosa fatta? Definitiva? Manco a dirlo. Ecco che i Governi di turno s’ingegnano, uno dopo l’altro, a introdurre nuovi provvedimenti riduttivi: i c.d. “contributi di solidarietà”. Questi, sia pure “fuori dal perimetro dell’Irpef, operano come l’Irpef” (Cfr. Corte dei Conti, Rapporto 2014 sul coordinamento della finanza pubblica). Non una tantum. Di questi “contributi”, a catena, per ogni nuova esigenza di bilancio, se ne architettano 5 (+1, dal 2012—2017, a solo carico degli iscritti e dei pensionati delle gestioni speciali: Fondo Volo, Telefonici, Elettrici, Ferrovieri, Ferrotranvieri, Inpdai, tutti confluiti nell’Inps). Comunque, misure definite solidali. In contemporanea, intanto, cominciano le manipolazioni del meccanismo che era stato concordato con le Organizzazioni dei lavoratori. Una serie di modifiche peggiorative e blocchi pluriennali. A partire dal 2000, per 6 volte (+1 in corso). Cui si aggiungono aggiustamenti imposti da pronunce della Corte Costituzionale. Valga per memoria: modifiche peggiorative e blocchi del meccanismo perequativo hanno effetti trascinamento e moltiplicativi della perdita del potere d’acquisto, vita natural durante del pensionato, con esiti anche sui trattamenti di reversibilità. E la Presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, in occasione dell’audizione dinanzi alle Commissioni riunite 5^ Camera e Senato (5 dicembre 2022), ha precisato che per “Per le quote di pensioni calcolate con le regole contributive […], il rallentamento o il congelamento, anche pro-tempore, dell’indicizzazione ha la natura sostanziale di un’imposta, perché va a intaccare la corrispettività attuariale tra contributi versati nel corso della carriera e valore atteso della rendita pensionistica”.

Una deformazione del sistema

Per l’anno 2022, la legge n.160/2019 (art 1, comma 478) fa appena in tempo a ripristinare l’indicizzazione in forma progressiva per scaglioni, quand’ecco che la legge di bilancio 2023 (L. 29 dicembre 2022 n. 197, art. 1, comma 309), sconvolge un’altra volta il meccanismo: cala la scure su quello a tre scaglioni. Per il biennio 2023-2024 ne è stato fabbricato uno, appositamente più penalizzante a 6 fasce (la perequazione è più sfavorevole perché avverrà per fasce, cioè sull’intero reddito pensionistico con un’unica aliquota e non per scaglioni come avviene per l’Irpef dove si applicano aliquote graduali su singole quote del reddito pensionistico). Inutilmente la nuova legge richiama il meccanismo stabilito dalla legge n. 448/1998, quasi una beffa, visto che per un solo livello, cioè solo per le pensioni fino a 4 volte il TM (525,38€) è prevista la rivalutazione al 100%, pari cioè alla legge di riferimento, poi interviene lo sminuzzamento in 5 fasce successive. Il nuovo meccanismo penalizza le pensioni da 4 fino a 5 volte il minimo e spreme inesorabilmente tutte quelle oltre 5 volte il TM. Il potere d’acquisto diminuisce: con la nuova indicizzazione, gli esperti hanno calcolato che, sulla pelle dei pensionati lo Stato risparmierà in totale circa 17 miliardi. 

Una sorta di imposta nascosta all’interno dell’operazione di indicizzazione, come detto sopra. Una perdita nei prossimi 10 anni che va dai 13mila euro agli oltre 115mila per i pensionati con un assegno di 10mila euro. Un’altra sottrazione di reddito che si somma alle perdite precedenti a danno dei soliti noti che hanno pagato più imposte e contributi. Una deformazione del sistema che progressivamente trasferisce risorse dalla previdenza all’assistenza. (Cfr. La svalutazione delle pensioni oltre 4 volte il minimo; Centro Studi e Ricerche, Itinerari Previdenziali 16 Dic. 2022).  La perequazione ormai non è più una variabile dell’inflazione, è diventata progressivamente una funzione al servizio di misure assistenziali e delle ricorrenti sperimentazioni pensionistiche. 

Apologia della solidarietà (impropria) 

Tra i principi fondanti della nostra Costituzione assume centralità l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Solidarietà che, ai fini dell’argomento che stiamo trattando, interpella chi ha di più perché sostenga chi è svantaggiato e ha di meno. Immancabilmente, perciò, il principio è stata richiamato a sostegno della nuova stretta sulle pensioni. Richiamo perfino condivisibile, visto il livello cui si attesta l’inflazione (+7,3), sempre che nel contempo, una partecipazione a questo sforzo solidale fosse stato richiesto a tutti i percettori di redditi equivalenti e, soprattutto, a quelli che sulla crisi economica in atto ci fanno enormi guadagni.
Nella manovra di bilancio 2023 non si leggono segnali in questo senso. Anzi sono penalizzati quelli che pagano imposte, le più elevate, quando hanno già versato un sacco di contributi per costruirsi una pensione dignitosa. E ora Il nuovo meccanismo s’inserisce nel corso della graduale erosione della perequazione, con un fattore aggiuntivo: l’accelerazione esponenziale verso l’azzeramento(vedi Figura). Al riguardo vale la pena riferire l’osservazione della Sezione EMR della Corte dei Conti che si legge nella parte “Ritenuto in fatto” della Sentenza Cost. n. 70/2015. Segnala come: “l’intervento legislativo evidenzi il carattere sempre più strutturale del meccanismo di azzeramento della rivalutazione e non quello di misura eccezionale, non reiterabile”. E questo, aggiungiamo noi, vale in particolare per le pensioni superiori a quattro volte il minimo. Limite che trova conferma nel “considerato in diritto” della stessa Sentenza dove si legge che “la disciplina generale che si ricava dal complesso quadro storico-evolutivo della materia, prevede che soltanto le fasce più basse siano integralmente tutelate dall’erosione indotta dalle dinamiche inflazionistiche o, in generale, dal ridotto potere di acquisto delle pensioni”

Un monito ineludibile

Considerazioni che però, a nostro avviso, vanno lette anche alla luce del monito espresso dalla stessa Corte quando dice che “ … la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo (n.d.r. il meccanismo di perequazione), esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità […] perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta”. (Sentenza n.316/2010). Monito che nel richiamo alle sentenze n. 349/1985 e n. 372/1998, ribadisce un orientamento consolidato della Corte Costituzionale a riguardo di una tutela effettiva del potere d’acquisto delle pensioni. E non solo di quelle più modeste. Un monito che anche in occasione del previsto confronto con le Parti sociali sulla riforma previdenziale, riteniamo non possa restare del tutto inascoltato dal Governo. 

Non azzardiamo conclusioni. E’ materia che andrà affidata agli esperti giuristi come in altre occasioni hanno fatto Federmanager e CIDA. Al riguardo intanto ci pare importante riportare il proposito del Presidente della CIDA, Stefano Cuzzilla, espresso appena i media diffusero le prime ipotesi di nuovi interventi peggiorativi del sistema di perequazione: “Se queste indiscrezioni dovessero concretizzarsi CIDA prenderà una posizione netta così come ha fatto in passato”.

Un proposito di vigilanza che, riteniamo, sarà esteso anche all’annunciata Riforma tributaria: che non sia l’occasione per fare giustizia distributiva mediante ingiustizia fiscale. 
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